La nuova disciplina dei controlli sul lavoro ha segnato una svolta nell’approccio a questa controversa problematica.
Da un lato, ha ridimensionato il ruolo delle autorizzazioni sindacali o amministrative, esentando le imprese dal richiederle per installare gli strumenti strettamente finalizzati al lavoro.
Dall’altro, ha osato prevedere che le informazioni acquisite tramite strumenti autorizzati o esentati sono utilizzabili anche a fini disciplinari, purché siano state acquisite (visto che comportano un trattamento di dati personali) nel rispetto della normativa privacy.
L’intenzione era quella di sollevare le imprese da alcuni oneri autorizzativi e dare loro maggiori certezze sulla fattibilità dei controlli, in cambio dell’osservanza delle regole privacy.
Che la scommessa riuscisse dipendeva, però, da diverse variabili:
che il concetto di “strumento di lavoro” non fosse inteso troppo restrittivamente;
che le imprese rinfrescassero ed eventualmente adeguassero i loro codici privacy, in specie migliorando le informative ai lavoratori;
che il Garante si facesse carico delle nuove responsabilità, ma a partire dal concetto che quando insiste in un ambiente caratterizzato da un potere di controllo la privacy deve rassegnarsi a qualche passo indietro, a pena di provocare fenomeni di rigetto.
A detta di alcuni, il ruolo della disciplina della privacy, di recente rinnovata dal GDPR e dal decreto attuativo, non sarebbe cambiato alla luce della riforma dei controlli: come valeva prima, la privacy vale adesso.
Fonte: federprivacy.org